XV domenica del tempo ordinario

La parabola del Buon Samaritano (Lc 10,25-37) ci interroga sulla natura dell’amore autentico, mostrando come il “prossimo” non sia un concetto astratto ma chiunque incroci il nostro cammino nel bisogno. Un dottore della Legge chiede a Gesù come ereditare la vita eterna, ricevendo come risposta il duplice comandamento dell’amore per Dio e per il prossimo. Ma è la successiva domanda – “Chi è mio prossimo?” – a scatenare la rivoluzionaria parabola: un uomo derubato e ferito viene ignorato da un sacerdote e un levita, mentre un samaritano, emarginato e disprezzato, “ne ebbe compassione” (Lc 10,33), fascia le sue ferite versando olio e vino e si prende cura di lui.
Gesù ribalta la prospettiva: non si tratta di definire chi sia il prossimo, ma di diventare prossimo per chi soffre. Come sottolinea sant’Agostino: “Il samaritano rappresenta Cristo stesso, che si china sulle nostre ferite con l’olio della consolazione e il vino della speranza”. Questo gesto di cura radicale prefigura il sacrificio di Cristo, il cui Sangue versato è fonte di guarigione e redenzione. Non a caso, il mese di luglio è tradizionalmente dedicato al Preziosissimo Sangue di Gesù, ricordandoci che proprio quel Sangue – simbolo supremo della misericordia divina – “ci rivela il valore della vita” (cfr. Es 6,7) e ci chiama a immedesimarci con chi è nel dolore.
Per attualizzare il brano nella vita quotidiana, ecco un consiglio pratico di fede: Fermati e ascolta il grido intorno a te. Come il samaritano, non voltare lo sguardo davanti alle piccole o grandi ferite dell’altro – un collega in difficoltà, un anziano solo, un immigrato smarrito. Ogni gesto di cura concreta (un aiuto, una parola, un tempo donato) è continuazione dell’opera di Cristo, che “ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19).
In un’epoca di indifferenza, questa parabola ci sfida a trasformare la compassione in azione, ricordandoci che la vita eterna si eredita non attraverso riti o classificazioni, ma facendosi “vicini” con le mani e il cuore.
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